Negli ultimi anni, ho visto un'evoluzione interessante – a volte anche un po' confusa – nell’approccio allo sviluppo delle competenze imprenditoriali. Si è passati da una mentalità
teorica, tutta basata su concetti astratti, a una ricerca quasi ossessiva di formule rapide e immediate. Ma quanto di questo porta davvero a un cambiamento concreto? Spesso, si esce
con una conoscenza superficiale, incapace di affrontare le complessità del mondo reale. Non è solo una questione di sapere cosa fare, ma di capire profondamente il perché dietro
ogni decisione, ogni strategia, ogni azione. È questo che distingue davvero chi "sa" da chi "fa". Quello che colpisce di questo approccio è la capacità di trasformare il pensiero in
azione concreta. Non parliamo di un semplice accumulo di informazioni, ma di un vero processo di interiorizzazione. Immagina di trovarsi davanti a una decisione finanziaria critica
– non è solo una questione di numeri o strategie, ma di intuire le conseguenze, di leggere tra le righe del contesto. Queste sono competenze che non si costruiscono con manuali o
slide, ma vivendo e affrontando scenari reali. Ed è proprio lì che nasce la differenza: la capacità di rispondere con sicurezza, ma anche con flessibilità, a ciò che non è
prevedibile. E poi c'è la rilevanza professionale, che non è mai stata così centrale. In un mondo dove tutti cercano di sembrare esperti, chi ha una comprensione realmente
approfondita e pratica emerge subito. È come se il linguaggio stesso cambiasse: si passa dal "so di cosa parlo" al "posso dimostrarlo". E questa trasformazione non è solo evidente,
ma inevitabile.
Dopo l'iscrizione, le cose iniziano in modo piuttosto diretto. Gli studenti si trovano immersi in attività pratiche, che spesso sembrano quasi banali: creare un budget per un
progetto immaginario o analizzare i punti deboli di un'idea imprenditoriale. Ma è qui che il vero apprendimento comincia, quasi senza che se ne accorgano. Uno studente potrebbe
passare ore a perfezionare una presentazione di vendita solo per rendersi conto, alla fine, che la chiave non era nei dettagli estetici, ma nella capacità di anticipare le domande
del pubblico. E a volte, una semplice domanda del docente—"Perché pensi che questo funzionerà?"—può spiazzare più di un esercizio complesso. Ci sono momenti, però, in cui la
frustrazione prende il sopravvento. Un esempio? Progettare un piano d’azione per un problema reale, come migliorare la logistica per un piccolo negozio di quartiere. Sembra
semplice, ma le variabili si moltiplicano rapidamente, e non sempre ci sono risposte chiare. Alcuni si perdono nel tentativo di trovare la "soluzione perfetta"—un errore comune.
Alla fine, è l’abilità di adattarsi, di accettare l’ambiguità e di continuare a sperimentare che li spinge avanti. È un processo che, in qualche modo, assomiglia più alla vita che a
una lezione.